Onorevoli Colleghi e Colleghe! - Più volte nel corso di questi anni, in particolare in occasione del vertice del G8 di Genova del luglio 2001, episodi legati alla gestione dell'ordine pubblico, come appunto nel capoluogo ligure le perquisizioni alle scuole Diaz e Pascoli, sedi degli uffici del Genoa Social Forum e di alloggi per una parte dei partecipanti alle manifestazioni, hanno riproposto questioni connesse con l'impiego delle Forze di polizia in situazioni che hanno visto le medesime rendersi responsabili di abusi.
      Nel corso delle indagini tese a verificare le responsabilità individuali da parte della magistratura, in queste come in altre circostanze, è risultato essere particolarmente difficile se non impossibile risalire all'identificazione dei poliziotti in situazioni di ordine pubblico poiché lo stesso assetto delle Forze dell'ordine ne impedisce il riconoscimento.
      Per quanto riguarda i partecipanti a manifestazioni di piazza, la normativa prevede già il divieto di indossare caschi, maschere o altri mezzi di travisamento. Le norme vigenti, contenute in particolare nella legge conosciuta come «legge Reale», da questo punto di vista sono adeguate e sufficienti e non crediamo richiedano alcun rafforzamento né sul piano dei contenuti, né su quello delle sanzioni applicabili ai contravventori. D'altronde, è evidente come ben diversa, sul piano sostanziale e su quello formale, sia l'impossibilità di identificare un appartenente alle Forze di polizia che possa eventualmente essere indagato per comportamenti sanzionabili sul piano penale o disciplinare, rispetto ad una analoga e speculare situazione che coinvolga un normale cittadino.
      L'autorità e il prestigio di una Forza di polizia e dei suoi appartenenti poggiano più ancora che sul giusto e necessario, ma

 

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astratto, principio del primato della legge, sul consenso dell'opinione pubblica e sulla generalizzata percezione che proprio gli appartenenti alle Forze di polizia siano per primi soggetti alla legge e tenuti comunque al suo rigoroso rispetto, in qualsiasi circostanza. Un principio che vale soprattutto quando la polizia può essere costretta ad usare la forza per garantire la sicurezza dei cittadini o per ripristinare l'ordine. A questo, d'altra parte, dovrebbe essere finalizzato l'addestramento degli agenti e questo prevede la normativa generale e specifica che regola il comportamento degli stessi. E non possono di certo essere invocate come esimenti condizioni di stress o tensione.
      In queste circostanze, i princìpi inderogabili di legalità e trasparenza prevalgono su qualsiasi altra considerazione, per evitare che il legittimo impiego della forza possa trasformarsi in arbitrio o abuso.
      Lo scopo della presente proposta di legge è di introdurre delle modalità di individuazione che, ove fosse richiesto dalle circostanze, tutelino quanti tengono, e sono naturalmente la maggioranza, comportamenti conformi alle norme e alle circostanze.
      A tale fine si propone che l'operatore delle Forze di polizia che sia impiegato in servizi di ordine pubblico e non indossi l'uniforme prescritta sia tenuto a portare indumenti (giacche, pettorine o altro idoneo) che lo identifichino univocamente e a distanza come appartenente alle Forze dell'ordine. Ciò al fine di evitare che si generino equivoci o confusioni che, nella tensione inevitabile di talune manifestazioni di piazza, potrebbero acuirla o comunque degenerare.
      Si propone, inoltre, che i funzionari responsabili indossino sempre e comunque la sciarpa tricolore, come previsto dal decreto del Ministro dell'interno 19 febbraio 1992, che determina le caratteristiche delle divise degli appartenenti alla Polizia di Stato. Tale segno di riconoscimento (o altro analogo previsto dai regolamenti, purché molto evidente anche a distanza) dovrà essere indossato anche sull'uniforme da parte di chi dirige le operazioni.
      Infine, la presente proposta rende obbligatoria l'identificazione del personale che indossa il casco protettivo mediante l'applicazione di contrassegni univoci sullo stesso. Si tratta di una pratica già molto diffusa in altri Paesi. Le immagini dei bambini cattolici di Belfast che si recavano a scuola protetti da poliziotti contro le minacce della popolazione protestante hanno mostrato chiaramente come sui caschi neri degli stessi fossero apposte grandi sigle alfanumeriche bianche, molto evidenti. Lo stesso può dirsi per i poliziotti svedesi che hanno partecipato alle operazioni di ordine pubblico a Göteborg, durante il vertice europeo del giugno 2001.
      La proposta di legge, inoltre, prevede il divieto assoluto di indossare, da parte di agenti, segni distintivi propri di alcune professioni per le quali le norme e l'uso hanno sempre garantito speciali salvaguardie per assicurare la libertà di informazione, per quanto riguarda i giornalisti, o la libertà di movimento per quanti (medici, paramedici, vigili del fuoco) garantiscono i servizi di emergenza. In occasione dei fatti di Genova del luglio 2001, infatti, lo stesso segretario della Federazione nazionale della stampa, Paolo Serventi Longhi, aveva più volte denunciato l'uso di pettorine in dotazione ai giornalisti da parte di poliziotti non meglio identificati. E alcune foto degli scontri mostravano persone con tali pettorine che impugnavano pistole in prossimità di gruppi di poliziotti, il che faceva escludere che si trattasse di dimostranti travisati e armati.
      La normativa proposta prevede, naturalmente, delle sanzioni per chi dolosamente contravvenga alle disposizioni previste al fine di evitare il riconoscimento per sé o per altri. Tali pene sono aumentate se vengono utilizzati segni di riconoscimento travisati.
 

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